Un commento sui due casi, considerati diversamente
Ci sono un paio due eventi che hanno animato in questi giorni il mondo della comunicazione, scatenando commenti e reprimende sui social: la pubblicità di Pandora (gioielli, bijoux) e il ritorno del tandem Luciano Benetton – Oliviero Toscani con la riproposta del tema egualitaristico-solidale che aveva fatto “bingo” nei primi anni ’90 (dello scorso secolo).
Pandora è uscita con una campagna incentrata, in sintesi, su un ruolo subordinato della donna, relegata ai fornelli o al tavolo da stiro in attesa della gratifica del suo uomo, un bijoux appunto, giusto per sottolineare oltre alla minorità, anche la fatuità del soggetto femminile.
Questo concetto che ricalca, in fondo, un vecchio detto veneto “Che la tasa, che la basa e che la staga a casa”, non poteva non suscitare indignazione, ironia, commenti sarcastici, e non solo da parte delle donne. Si tratta, quindi, di un infortunio di questa marca o di un’uscita provocatoria per ottenere maggiore visibilità?
Secondo me, questa campagna è “a target” tanto per quel che riguarda il “responsabile acquisti” del caso, un uomo che si ritrova in certe pubblicazioni come Men’s Health, For Men etc, e una donna giovane donna, come descritta da una Sinottica di Eurisko nello stile di vita delle “Commesse”. La blanda reazione dell’azienda ne è una riprova.
Da una parte il maschilismo becero, pre-culturale (addominali e falso lusso, pure descritto da Eurisko in altra Sinottica come “Il maschio pre-culturale”, appunto), dall’altro una giovane, disimpegnata, culturalmente arretrata, pronta ad accettare un ruolo subordinato in cambio di lusso, divertimento, vita facile.
Possibile che in un Paese culturalmente avanzato ci siano sacche di popolazione arretrata, conservatrice facile preda del consumismo e di messaggi volgari? Sì, non solo in Italia, e l’involuzione della politica di questi ultimi trent’anni ne è un esempio.
Al di là di quest’ultima considerazione, potremmo rifarci alla teoria di Everett Roges sulla diffusione dell’innovazione, per verificare che a fianco delle élite e di una consistente fascia media acculturata, vivono fasce sociali arretrate, portatrici di valori di retroguardia. Dovremo, quindi sopportare ancora, e per molto tempo, pubblicità di questo tipo.
Per quanto riguarda Benetton, i commenti hanno riguardato soprattutto Toscani, da quasi un trentennio ingombrante babau dei pubblicitari italiani che, a dispetto di un lavoro coerente con i manuali e di qualche Leone vinto a Cannes, non hanno mai avuto la visibilità e la fama del “fotografo”.
Ricordo bene quegli anni, quando frequentavo Milano perché socio TP (Associazione Italiana Pubblicitari Professionisti), e “rosicavo” anch’io per l’enorme risonanza delle campagne Benetton, accentuata dalle sentenze del Giurì. Per quanto mi riguarda, penso che da un lato, il tentativo di rifocalizzare la Benetton sul suo core business e di assegnare priorità alla manifattura sulla finanza possa essere un segnale importante per l’asfittico capitalismo italiano e soprattutto per la media impresa, dall’altro che il tardivo risveglio dal letargo di Luciano Benetton possa rivelarsi il tentativo di una palingenesi molto improbabile, soprattutto per essersi affidato a un concetto di comunicazione che poteva andar bene nei primi anni’ 90, ma non oggi. In ogni caso, Oliviero gongola… e noi torniamo a rosicare.
Adriano Lubrano