Enzo Scarpa: l’attualità del disegno
Enzo Scarpa ha vissuto la Storia e l’evoluzione del Graphic Design. Teme che le sue opinioni sull’importanza del lavoro manuale possano sembrare sorpassate, ma sono in molti i giovani che le condividono in pieno.
Parliamo un po’ di lei. Qual è la sua storia?
Quando facevo le elementari mi facevo fare i problemi di matematica (quelli mostruosi con la vasca semicircolare che perde) dal mio compagno di banco, e in cambio gli facevo dei disegni. Il maestro mi scoprì: mi prese per l’orecchio, letteralmente, e mi portò all’Istituto d’Arte che si trovava vicino alla mia scuola, dicendomi che quello era il mio posto.
Lo presi in parola: restai per otto anni come studente, anche di magistero (il mio Maestro fu Carlo Dalla Zorza), e poi per quarant’anni come insegnante. Ho insegnato anche Graphic Design presso l’Università Internazionale dell’Arte di Venezia. Realizzai i depliant di viaggio per Adriatica Navigazione.
E poi?
Ho lavorato nell’agenzia esterna a Coin, la Madison, la stessa in cui ha lavorato Pietro Ricca. Il titolare era il grande Vitaliano Pesante. Sono stato assunto in Coin, ero assistente di Giulio Cittato, poi ho lavorato come Art Director free-lance alla Padova WPT, appartenente ad un gruppo europeo di agenzie, dove peraltro ho conosciuto la mia signora. Come free-lance ho lavorato per diverse altre agenzie. Mi è capitato persino di ospitare Bruno Munari per cena a casa mia.
Come è arrivato alla Scuola?
Ho conosciuto Adriano Lubrano per lavoro, poi Pietro Ricca fece per me quello che io avevo fatto per lui all’Istituto d’Arte: c’era bisogno di un docente, e lui fece il mio nome.
Lei insegna Immagine Coordinata. Di cosa si tratta?
L’Immagine Coordinata è l’insieme di tutte quelle manifestazioni non solo stampate ma anche di comportamento che un’entità dà di sé.
Comportamento?
Sì: anche un circo può avere un’immagine coordinata. Chi vi lavora si rapporterà con il pubblico in maniera diversa da chi lavora, ad esempio, in un ospedale. Anche questo fa parte dell’immagine coordinata.
Alla base dell’Immagine coordinata è il logo, massimo esempio di sintesi e identificazione. Cosa bisogna tener presente quando si disegna un logo?
La prima cosa da capire è che il logo non è un semplice disegnetto, ma va progettato con criteri riconoscibili nelle future applicazioni. Per queste applicazioni deve avere una struttura utile, non può essere fine a se stesso.
Si comincia con la stesura manuale, per poi verificare il senso del logo e le conseguenze della sua progettualità. Il logo deve essere semplice, si deve ricondurre ad una delle tre figure geometriche di base: cerchio, quadrato, triangolo, gli elementi fondamentali per strutturare qualsiasi spazio bidimensionale, ma anche tridimensionale.
Il logo non deve rappresentare, ma dare una sensazione. Altrimenti si torna indietro di un secolo, quando la maggior parte dei loghi erano rappresentazioni pittoriche della realtà a cui appartenevano. Allora si poteva fare, perché queste realtà erano meno numerose. Adesso sono talmente tante, che se i loghi si limitassero ad un’illustrazione di ciò che offrono, sarebbero inutili, si annullerebbero a vicenda.
A cosa serve il Manuale di Immagine Coordinata? Cosa deve contenere? A chi è diretto?
Il Manuale di Immagine Coordinata è uno strumento per dare prestigio alla realtà a cui è destinato. Serve a dimostrare a priori che il logo progettato è duttile e malleabile, per non avere sorprese quando si andrà poi a declinarlo.
È inutile avere un bel logo, se poi è scarso nelle applicazioni: per questo è importante fornire indicazioni al fine di evitare a chi lo porterà avanti di disperdere il messaggio di base.
È necessario tener presente che le realtà non sono tutte uguali: alcune privilegeranno l’applicazione su carta stampata, altre il packaging, la comunicazione o l’architettura.
Può farci un esempio?
Beh, per far capire quanto eclettico possa e debba essere un logo, ti faccio l’esempio di un’immagine che tutti, bene o male, conosciamo: la croce. Pensa alle chiese la cui navata centrale, intersecandosi col transetto, trasforma l’edificio stesso in una rappresentazione della croce latina. Un esempio di immagine coordinata che risale a più di un millennio fa. Allo stesso modo, si potrebbe, in teoria (in pratica non si fa mai) riprodurre un logo solo usando la posizione di alcune immagini nello spazio di stampa. Ovviamente il logo di partenza dovrebbe essere molto semplice, e torniamo così al discorso di prima: i loghi semplici tendono ad essere i più efficaci.
Cosa sono colori e caratteri istituzionali? Con quale criterio bisognerebbe sceglierli?
Colori e caratteri istituzionali fanno parte del patrimonio della comunicazione dell’entità in questione. Sono elementi base dell’immagine da cui tale comunicazione si sviluppa: il logo, la sua progettazione e costruzione, il lettering e i colori, che devono essere coerenti con l’ambito in cui esiste l’entità. Alcune si avvalgono di esperti specializzati negli studi psicologici sul colore. L’immagine coordinata è composta anche dai consulenti di cui ci si avvale.
A volte i loghi vengono rinnovati.
In quel caso si parla di redesign: un logo può invecchiare, e allora è necessario aggiornarlo alle nuove esigenze di comunicazione, adattarlo all’evoluzione della realtà. L’innovazione deve però tenere conto del patrimonio aziendale, e mantenere una coerenza con esso.
Secondo lei, come è cambiato il mondo della grafica negli ultimi anni?
È senz’altro cambiato per chi ci lavora, ovviamente e soprattutto per l’avvento del computer. Sono sparite le sale dei montaggisti nelle tipografie, si fa tutto con uno schermo e basta. Per merito del computer chiunque può fare un progetto: questo può essere sia un bene che un male. Prima persino il volantino della Parrocchia andava progettato, e il grafico aveva più prestigio.
Adesso certe cose possono farle anche i ragazzini, ma a certi livelli sono ancora necessari i professionisti. Per questo c’è la necessità di essere preparati, seguendo corsi appropriati e tenuti, appunto, da professionisti.
Diverse competenze caratteristiche del design grafico manuale sono state soppiantate da strumenti digitali. Ce ne sono alcune che, secondo lei, dovrebbero essere mantenute, come corredo tecnico, malgrado il digitale sia più veloce?
Ti do una risposta lapidaria: disegnare. Il progetto va pensato e disegnato a mano. Anzi, ti rispondo con le parole che usò Bob Noorda quando intervistarono lui: “Qualcuno mi dice che lavora solo al computer. Ma il cervello è prima del computer. E la matita dà forma ai pensieri in modo più immediato del computer. Disegnare con la matita è un modo di pensare.”
Il pensiero passa per la mano (Alessia De Bortoli, sostituta responsabile della nostra Stamperia, in cui si tiene l’intervista, interviene per manifestare il proprio accordo). Il computer dà molte possibilità ma bisogna usarlo, non farsi usare da esso. Spesso i ragazzi mi dicono di voler tornare ad usare più manualità. Del resto, come diceva George Santayana, “Chi non conosce il passato è condannato a ripeterlo”.
Quale consiglio darebbe ad un giovane che si volesse avvicinare al mondo della grafica?
Deve avere passione, altrimenti faccia qualcos’altro. Otto ore di lavoro, una parte così importante del nostro tempo, non devono necessariamente rovinare la giornata. Qui parliamo di qualità della vita. È una scelta.
Marta Bobbo