Jeff Dell torna alla Scuola Internazionale di Grafica di Venezia, dove tra il 1998 ed il 2002 è stato assistente dei corsi qui organizzati, completamente rinnovato nello spirito e nel modo di fare arte. Questi 6 anni d’insegnamento alla Texas State University S. Marcos, uniti a molte esperienze positive, hanno fatto sì che il suo lavoro mutasse: dalle mezzetinte scure, in cui dominavano i toni del grigio e del nero, Jeff Dell è arrivato ad incisioni, soprattutto serigrafie, più colorate e giocose, nelle quali domina la gioia.
Alcune delle opere precedenti saranno visibili nei locali attigui alla galleria “Il Sotoportego”, sede della mostra: la serie Running amok, realizzata al suo rientro in Texas dopo i due anni veneziani, rappresentano una Venezia semidistrutta da immaginarie bombe che fanno quasi fluttuare brandelli di edifici nel cielo, mentre la tecnica della mezzatinta permette di conferire all’immagine diversi piani di profondità, grazie alla re-incisione della stessa lastra. Ed ecco il Campanile di S. Stefano sullo sfondo di un Palazzo Ducale sbiadito e non proprio integro, o le nitide insegne di un americanissimo Mc Donald’s con dietro un palazzo storico fluttuante nel cielo, tanto che non è chiaro se stia precipitando od innalzandosi leggero. Come nelle sue opere precedenti, anche qui Jeff Dell ha lavorato sui suoi ricordi, i ricordi della Venezia che aveva da poco lasciato, ricordi resi immagine dalla rabbia che in quel periodo Jeff provava.
Gli stessi sentimenti lo hanno portato a realizzare una serie di immagini sulle città industriali del Texas: le cupole delle cisterne del Petrolchimico ricordano quelle di Santa Sofia di Istambul, tanto che tali immagini sembrano raffigurare quasi delle città orientali, bizantine, intitolate Distant Cities o Burning Cities, sulla falsariga di quelle Città Invisibili di Italo Calvino, libro che tanto lo affascina. Anche queste sono mezzetinte nere e grigie, scure, cupe, per documentare quella civiltà “altra” che sorge tra le città abitate dall’uomo. Tali edifici sorgono quasi come funghi, all’improvviso, in Texas ci sono moltissime di queste città industriali.
Dal dicembre del 2005 il lavoro di Jeff Dell cambia a poco a poco: appaiono i colori, la tecnica usata è sempre più spesso la serigrafia. I nuovi lavori di Jeff non possono più essere considerati “stampe” tradizionali: la tecnica è quella, ma ogni lavoro è unico, non ha tiratura. Sono dipinti, opere pittoriche, in cui il colore, denso e stratificato, dà particolari effetti di trasparenze, ombreggiature, velature. E’ la serie “Big dermis”, parola latina che significa pelle, proprio perché queste opere con i loro colori a volte tenui, altre intensi, danno la sensazione di essere un’immaginaria pelle con la propria storia: graffi, piccole cicatrici, segni che ci comunicano qualcosa che, tuttavia, non è mai tragico, bensì è curioso, giocoso, gioioso. La rabbia ha lasciato il posto alla gioia, complici le positive esperienze che hanno segnato Jeff Dell negli ultimi anni.
Le stesse sensazioni sono date dai lavori che Jeff sta realizzando in questi giorni alla Scuola, per l’esposizione al “Sotoportego”: qui riappaiono i ricordi, suoi e degli altri, perché per realizzare queste opere Jeff utilizza piccoli oggetti, pezzettini di carta, biglietti dell’autobus e del vaporetto trovati per terra o nei luoghi pubblici girovagando per Venezia. Il tutto crea delle forme, dei particolarissimi piccoli collages che Jeff chiama “creature”, belle e brutte, divertenti ed ironiche, dominate da un forte senso dell’umorismo che aiuta a trasfigurare tutti i piccoli elementi rendendoli qualcosa di completamente diverso. I colori sono vivi, dominano i colori caldi, ed in alcune forme appaiono arabeschi realizzati con una sostanza particolare, il plastisol, un inchiostro solitamente usato per la stampa su tessuto: Jeff stampa e ristampa la stessa immagine 12-13 volte per arrivare ad un vero e proprio rilievo di 2-3 mm di spessore. “Mi piace l’idea che ogni segno abbia un suo peso, mentre solitamente i segni sono considerati pure immagini, non materiali. Vorrei che queste opere fossero entrambe le cose, immagini ed oggetti”. In altre opere, appartenenti alla serie “Big dermis” i piccoli buchini, gli strappi e le piegature, sono “impronte della vita”, e spesso rimandano intuitivamente a parti del corpo umano.
Il tutto è realizzato, a differenza dei lavori degli anni precedenti, seguendo fortemente la propria intuizione, l’intuito, l’istinto: “Prima”, dice Jeff, “pensavo troppo, e qualcosa in quei lavori era sbagliato, ma non capivo cosa. Ora è tutto molto più divertente”.
Nicoletta Consentino