Stanislaw Kluska, Kapcer Bozek e Jean Baptiste Sécheret
- dal 3 ottobre al 5 novembre 2014
- La mostra è aperta da lunedì a venerdì, dalle 9:00 alle 13:00 e dalle 14:00 alle 17:00
Il ruolo organizzativo che la Fondazione Federica Galli ha assunto nell’ambito del premio Sciascia mi ha messo nella condizione di accogliere ed aprire i pacchi delle opere inviate dagli artisti invitati a partecipare al concorso della settima edizione, vinto da Stanislaw Kluska, Kapcer Bozek e Jean Baptiste Sécheret. Le opere dei partecpanti sono arrivate a partire dai primi giorni di giugno del 2012. Chi conosce Milano sa che si tratta dei giorni più caldi e afosi dell’anno, giorni in cui ci si rintana nella frescura di luoghi condizionati. Le opere arrivavano alla spicciolata presso la sede della fondazione che dista qualche centinaio di metri dalla zona dove lavoro abitualmente. Il custode aveva il compito di avvisarmi di ogni arrivo perché verificassi le opere, le schede accompagnatorie, il loro stato e compiere le incombenze necessarie alla loro registrazione. Non facevo parte del comitato che seleziona gli artisti, quindi ogni arrivo costituiva per me una sorpresa assoluta. A ogni telefonata del custode affrontavo la calura e nel silenzio della sede della Fondazione Federica Galli spacchettavo i fogli, alcuni dei quali blindati da chilometri di nastro adesivo. Con questo spirito e in quest’atmosfera ho avviato un rito solitario e privilegiato: la scoperta delle stampe che avrebbero rivestito le cinque sedi espositive che costituiscono una delle significative caratteristiche di questo premio.
Sin dai primi arrivi ho compreso che le opere realizzate da artisti dell’Europa Orientale avevano ,tte, due caratteristiche a me molto care: l’essere prodotte con virtuosismo tecnico e la scelta del linguaggio figurativo, quest’ultimo più comprensibile ad occhi allenati a studiare le opere di grandi maestri, alla base della mia competenza professionale. Mesi dopo, ho gioito quando il presidente della giuria mi ha comunicato che due delle opere premiate provenivano dalla Polonia, mentre la terza era del francese Jean-Baptiste Sécheret, anch’egli ostinato a sfoggiare con coraggio un virtuosismo tecnico, soprattutto nelle morsure, un’ostentazione d’abilità che in alcuni ambiti dell’arte contemporanea viene considerato demodé o addirittura inutile. Ma, penso, non è così per chi valuta le opere di questo specifico concorso che, in nome della memoria di Leonardo Sciascia, si pone l’obiettivo di valorizzare gli artisti che sono in grado anche di esprimere il proprio pensiero attraverso un’immagine, un’esigenza favorita se realizzata attraverso un linguaggio codificato qual’è quello dell’interpretazione della realtà, benché in parte ostacolata dalla saturazione di immagini che in cinquecento anni di storia ha invaso il globo.
In questo clima gli artisti che hanno partecipato al concorso hanno compreso, chi in modo puntuale chi intuitivo lo scopo primario dei fautori del premio, vale a dire quello di proporre opere che abbiano due piani di lettura, uno estetico e uno umanistico, sostenendo così quella funzione di comunicazione e scambio culturale che l’incisione ha assunto sin dalle sue origini, e che nel corso dei secoli ha mostrato validità e longevità sapendosi ogni volta adattare al nuovo in termini di contenuto e di forma. Obiettivo, oggi, complesso da raggiungere perché le immagini hanno raggiunto un ruolo tale da invadere e spesso costituire in sé l’informazione: ma proprio la sovrabbondanza delle immagini ha reso molto più difficile esprimersi con valore attraverso tecniche tradizionali, mantenendo una propria identità, sapendo interpretare l’attualità e riuscendo a stupire l’osservatore con “fotogrammi” inediti. Traguardi che forse possono raggiungere con più facilità quegli artisti che hanno operato in paesi dell’est europeo, oscurati dalle novità estetiche. Forse proprio perché hanno lavorato in un clima di censura, hanno scavato nella profondità dell’anima per elaborare risposte a dilemmi universali: la lotta fra il bene e il male, fra equità e ingiustizia, fra libertà e sopraffazione, fra bello e brutto. Il tutto attraverso mezzi di espressione tradizionali, non avendo aderito ed ancor meno partecipato ai fermenti che hanno animato e rivoluzionato l’arte dell’Europa occidentale del ’900. I risultati sono, a mio avviso, sorprendenti e mostrano un’evoluzione dell’immagine agli antipodi della involuzione dell’espressività, che invece, sembra essere l’obiettivo di parte dell’arte contemporanea, volutamente svuotata di ogni significato estetico e tecnico.
Ed è così che, fra le prove dei premiati della settima edizione del concorso, interpreto i due cavalieri di Kapcer Bozek -secondo classificato- che sembrano voler rappresentareil conflitto dell’uomo fra ibene e male, con quell’analisi lucide e metodica della realtà che contraddistingue anche i personaggi mossi dalla penna indagatrice di Sciascia. Bozek, classe 1974, di Cracovia, sa graffiare la lastra come i virtuosi del passato, e senza imbarazzi né stratagemmi sfoggia intrecci che sanno restituire plasticità ai due paladini.
Virtuosismo estremo è anche quello esibito dal primo classificato, il polacco Stanislaw Kluska, che propone una miriade di figure umane alla ricerca del proprio destino nel magistrale uso del chiaroscuro di un limbo magmatico non identificabile. Infine il francese Jean Baptiste Sécheret, terzo classificato, s’ispira alla natura per mostrare la propria maestria tecnica ed estetica utilizzando il vuoto come sostegno del pieno con rara sapienza.
Lorenza Salamon
Fondazione Federica Galli
Milano, 1 marzo 2014
Premio Leonardo Sciascia 2013: mostra dei primi tre classificati. Stanislaw Kluska, Kapcer Bozek e Jean Baptiste Sécheret
- dal 3 ottobre al 5 novembre 2014
- La mostra è aperta da lunedì a venerdì, dalle 9:00 alle 13:00 e dalle 14:00 alle 17:00